Bar Silio
Storie di giovani gomiti appoggiati ad un bancone di provincia

lunedì, maggio 28, 2007

Tragedia al pub: ragazzo annega in 568 millilitri di birra

Un rutto squillante sfumato da una compiaciuta risata è tipico del pub.
Nemmeno vale la pena scrutare tra gli avventori per accertarsi dell'autore, tant'è che subito dopo questo mi sfila davanti, con la bocca ancora tremula e sguaiata. Ma ecco che la sua divertita espressione tramuta in attanagliante dubbio.
Forse il prossimo giro di bevute tocca a lui, e facendo mente locale tra le ordinazioni dei suoi amici, domanda pervaso dal più incredibile vuoto mnemonico:

-Cos'è che prendi? Cavolo, ce l'ho sulla punta della lingua...-

Deve essergli sfuggito qualcosa d'inconsueto, oppure deve avere una punta della lingua davvero enorme. Chissà quale cocktail esotico, ingegnoso intruglio, bevanda esoterica verrà consumata...
C'è un tumulto generale al tavolo del rutto da pub. Una consultazione di poco inferiore ad un assurdo minuto per far venir fuori questa cavolo di PINTA che si nascondeva sulla sterminata punta della lingua...
-Ah ecco, UNA PINTA!!!-

No, non può essere un lapsus!!! Mi sembra inevitabile tacciare il ruttone di profonda, ignobile ignoranza allo stato brado. Eppure questo lemma anglosassone, illustre sconosciuto, è per un avventore abituale, incallito, imbevuto di birra anche a colazione, il riflesso condizionato per continuare a tracannare. Avrei preferito credere in una spropositata faziosità per il sistema metrico decimale...

E' come un chirurgo senza quella lama affilatissima per le incisioni, capito di quale sto parlando vero? Come 22 persone che rincorrono animosamente quel geoide di cuoio che rimbalza... ma volendo anche un cacciatore senza la sua canna tubolare che scaglia piombo a grande velocità...

Gli esempi simili sono infiniti, quasi tutti ridicoli e scriteriati, tanto da poter essere trattati in separata sede.

A questo punto mi aspetto un evento che smentisca il tutto, che riveli la burla, l'intimo confabulare, cazzeggiare tra amici.
-No grazie, prendo una birra piccola-
-Che equivale a metà pinta! Giusto?!- Deduzione logica d'alto livello!

Ebbene lo zotico aveva realmente appreso solo in quei frangenti della mia terribile incredulità il valore di una maledettissima, comunissima pinta...

Non credo di esser stato severo.

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giovedì, maggio 24, 2007

La scala dei valori di un uomo

La sorprendente calura mattutina più che stupirmi, mi aveva annichilito, avvampato le gote e irritato gli occhi di grondante sudore. Tutte patologie riscontrabili nello scansafatiche costretto a darsi da fare almeno una volta ogni tanto… giusto per non essere lo scontato bersaglio di giuste critiche dei lavoratori che lo mantengono dormiente e strafottente dietro alle tapparelle, il suo habitat ventilato. Era dalle otto che il fieno stava arrostendo sotto al sole, quattro ore che ne assaporavo la crescente fragranza accumulandone considerevoli mucchi al centro di uno sterminato prato, non più rifugio per ortiche, erbacce e vipere, ma dignitoso addobbo di un casolare che non sembrava più abbandonato al degrado. Ero stanco, ma orgoglioso di aver dato uno smacco alle lenzuola orfane della mia accomodante carcassa. Le energie al lumicino, musicate dal gorgoglio dello stomaco, minacciavano gli arti superiori di non sorreggere più quel reiterato automatismo da macchina agricola. Ma la fierezza di non essere più quel deprecabile pelandrone mi faceva resistere, anzi lavorare con foga tale da sentire sfilacciarsi le braccia mai così provate dal lavoro. Ero così energico che l’utensile metallico del rastrello si sfilò dal manico di legno, decretando per forza di cose la pausa pranzo. Sospiravo compiaciuto, e in un folle crescendo entusiasta, decisi che avrei proseguito anche nel pomeriggio. Mi recai quindi nel capanno degli attrezzi del nonno, devoto cultore della terra e di ogni sorta di fatica umana. Un chiodo ben infisso nel bastone ed il rastrello era nuovamente pronto a redimermi dall’ozio. Se ne compiaceva anche la nonna, massaia instancabile, che mi gratificò con un sughetto da lei stessa preparato con la solita gustosissima dovizia. E così, rastrello e ragù in mano, mi apprestavo a quietar la meritata fame. Tutto ciò delineava i contorni di un’insolita e piacevole giornata, peraltro addolcita dalla compagnia della musica che recavo immancabilmente nelle cuffie del lettore mp3.
Ed ecco che in questa magia si insinuò un chiassoso clacson, la macchina del postino che mi fronteggiava, il suo ghigno sotto ai folti baffi che m’irrideva. In una grande città il postino è una figura asettica, un androide smistatore di bollette e affini. Nel mio piccolo paese invece, dove è consueto aggirarsi con rastrello e ragù in mano, il postino ti saluta, ti confonde con chiacchiere bislacche mentre ti ha già caricato come un mulo da soma della sua inadempienza. “Fammi un favore, prenditi la posta CHE MI STA SCOMODO FAR MANOVRA SOTTO CASA TUA!”
Che il destino ha voluto fosse trasbordante, anche per un redivivo lavoratore come il me odierno. Due, dico ben due ed ingombranti pacchi postali respinti per indirizzo errato, scartoffie di varia natura e qualche bolletta che non sapevo sarebbe mai arrivata al mio domicilio, magari perchè dispersa dal vento. Infatti tutto era magicamente accatastato e non assicurato tra le mie braccia gravide e stracolme di pesi. L’intera struttura era sostenibile solo grazie ad un andatura lemme e goffa, visto che i pacchi avevano messo in tensione il filo delle cuffie ed ero peraltro costretto ad inarcarmi per non separami dalla musica, o più probabilmente per non causare un rinculo scompensante di equilibri con conseguente frastuono di carte, plastiche, carni e metalli. Dovevo quantomeno salvare il salvabile. Caddero le prime scartoffie, mi accertai con una torsione inumana e dolorosa del collo che non vi fossero insinuati dei futuri pagamenti insoluti e procedetti oltre. A ogni due passi il rastrello oscillava e mi puntellava lo stinco. Il postino ben ventilato e ridanciano nella sua macchina, si godeva la scena accompagnandomi con compassionevole idiozia come in un rispettoso corteo. Nevicarono lente altre carte. Sarei tornato a prenderle dopo, non potevo assumere nessun altra postura, chinarmi, correre per diminuire la sofferenza, niente. Diversamente l’ingordo asfalto avrebbe pranzato prima della mia bocca riarsa e ingiuriosa contro l’ingegno del postino che non voleva far manovra sotto casa mia. Si forava e procedeva sgonfio lo stinco picchettato ad intervalli regolari, ma ormai mancava poco, la fragranza del ragù si mescolava al familiare odor di fieno.
Non restava che attraversa la statale, notoriamente transitata a qualsiasi ora, ultimo scellerato atto di questa commedia. C’era in gioco la vita, il pranzo, la dignità di non arrendersi ad una trafficatissima carreggiata di distanza dalla meta. Sarebbe venuto quasi da chiudere gli occhi, per non vedere l’autotreno, ironicamente caricato a fieno, vanificare tutto, sventrarlo, trascinarlo qualche centinaio di metri più in là del mio uscio affacciato a quell’arteria stradale e commerciale. Quell’uscio che aveva l’imperdonabile colpa di essere poco accessibile in auto, bisognava esser manovrieri per consegnarvi la posta.
Ed io sono stato un eroe, perché tra stenti, torcicollo, artriti indotte e temporanee, ero riuscito a salvare capra, cavoli e a fugare quello stronzo di lupo solitario, che ululando divertito se n’era andato a consegnar la posta dove non c’è bisogno di alcuna peripezia automobilistica.

Stremato appoggiai in terra tutto, come se fossero tutti utensili da campagna deperibili e aggiustabili, senza alcuna specifica importanza. Solo liberandomi di quella sofferta oppressione mi resi conto che stavo tenendo saldamente nei palmi delle mani solo il lettore mp3 ed il pentolino col sugo. Tutto il resto, abbarbicato tra un medio e un anulare, un indice e un medio ed alloggi anatomici traballanti e poco ergonomici, si era ribellato alle più elementari leggi di gravità, decretando così il podio dei miei valori: musica, ancora musica (dare la priorità ad un lettore mp3 TASCABILE PER ALTRO vale un oro e un argento) e sacrosanto stomaco! E per me che non sono mai stato tra i più illustri esponenti della categoria, onorevole medaglia di legno per il lavoro, con il rastrello sorretto nella stretta fidata del pollice opponibile.

Ora che sto scrivendo l’erba è tornata già alta da farvi disperdere un innocente pargolo che vedendo un “prato” gli verrebbe da correrci spensieratamente, ignaro di dovervi schivare ortiche, bisce ed il mio laborioso rastrello… ed il postino già gongola…